La
dottoressa Barbara Amurri lavora all'ospedale Moscati di Taranto e racconta
perché lavorare in questa città è la sua missione: "Qui muoiono come
mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva
o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la dannazione di questa terra: il
non pensare al futuro"
Se li ricorda uno ad uno i suoi 400 pazienti ammalati
di linfoma. Le storie, i nomi, la loro indole. Perfino il carattere. Per lei
non sono mai un numero. Anche perché nella città più inquinata d’Italia, fino a
poco tempo fa non c’era un registro
tumori. “Una vergogna”, è l’unica parola dura che usaBarbara Amurri, 56 anni, gli ultimi
dieci trascorsi tra le mura del reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di
Taranto, che ha fondato nel 1993 insieme all’allora primario Patrizio Mazza,
ora consigliere regionale dell’Idv. Quando torna a casa, nel quartiere San
Vito, quartiere della marina, e il vento gira, “è come respirare direttamente
con la canna del gas in bocca”.