L'avevamo
previsto ed è puntualmente successo: l'annuncio
del ritorno del Cavaliere sta già producendo la destabilizzazione del pur
precario e transitorio equilibrio politico che permette al Governo di operare.
Ad ogni votazione mancano un quarto
circa dei voti del Pdl, qualcuno dei presenti invece dichiara che è tutto
sbagliato, qualcuno che è giusto ma troppo poco, qualcun'altro che è in
perfetta continuità col governo precedente. Nessuno degli accordi fatti viene
più rispettato: dalle riforme istituzionali alla legge elettorale alla semplice
presidenza di commissione, ricompare ad ogni piè sospinto la vecchia
maggioranza Pdl-Lega, con buona pace delle dichiarazioni di Maroni al popolo
leghista. Per questo, in estrema sintesi, il Pd ha abbandonato l'aula la scorsa
settimana.
Le domande che ci poniamo in Italia
all'avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura, sono le stesse che
riecheggiano nelle cancellerie degli Stati europei e non solo. Che cosa succederà
dopo Monti? Si tornerà ai bei tempi andati della crescita a debito, all'aumento
della spesa pubblica che tanti guai ci sta provocando e che tanto ha acuito le
disuguaglianze? Perché è questo, ridotto all'osso, il senso del dibattito sul
dopo Monti in termini di continuità/discontinuità.
Questo il senso del documento che
hanno sottoscritto 15 parlamentari e dirigenti Pd, che ha suscitato qualche
polemica e qualche fraintendimento. Non ci si riferisce alla persona di Monti,
che ha detto e ripetuto che nel 2013 considererà chiusa la sua esperienza
politica, né alle singole questioni, né si vogliono negare le lacune che pure
ci sono, ma al cuore, al nucleo duro del suo programma: incisiva e coraggiosa
revisione della spesa pubblica, per ridurre l'imposizione fiscale su lavoro e
impresa, per tornare ad investire sul capitale umano, maggiore equità
intergenerazionale nel sistema di welfare e, sul piano strutturale della crisi,
accelerazione dei processi di integrazione europea, economica e politica, a partire
dai meccanismi automatici antispread, secondo la linea già portata avanti
congiuntamente con Hollande e Rajoy.
Assumere con chiarezza la continuità
con questa impostazione da parte di chi si candida a governare il Paese dal
prossimo anno, è necessario non solo per rassicurare i mercati e i partner
europei, ma perché la crisi e le difficoltà attuali non si concluderanno in
tempi brevi - come vediamo con grande preoccupazione in questi giorni - e i
processi virtuosi avviati (pensiamo solo allo spostamento del prelievo fiscale
dai redditi da lavoro ai patrimoni, o la lotta all'evasione), daranno i loro
frutti solo attraverso una pluriennale e coerente azione di governo. Non si
tratta perciò di un dibattito metafisico, metafisico è piuttosto restare chiusi
nel dibattito tra le due posizioni estreme che sono in campo a sinistra e non
solo in Italia: ricetta liberista (e quindi subalterna) o politiche keynesiane,
impossibili in assenza di capitali da investire? I caratteri inediti di questa
crisi, internazionale ed europea, impongono la ricerca di una terza via. Non
basta il rigore, questa affermazione sacrosanta contiene i due corni del
dilemma e della soluzione.
Di questo si è parlato all'assemblea
nazionale del Pd, tema affrontato nella relazione del segretario approvata
all'unanimità e da tanti interventi, tra cui quello di Massimo D'Alema che l'ha
ben sintetizzato nell'espressione "oltre Monti, ma con Monti". Spero
che cosi si spengano le polemiche, siano accantonate da parte di alcuni dirigenti
le dichiarazioni di volontà di revisione rispetto a scelte che pure il Pd
concorre a prendere col voto in Parlamento, e si proceda a fare quello che il
Segretario prima e tutta l'assemblea dopo hanno deciso: procedere
all'elaborazione di una convincente proposta programmatica in un percorso molto
aperto al contributo esterno della società civile, dalle competenze tecniche,
alle rappresentanze sociali. Programma che dovrà sicuramente essere illuminato
da quei valori di uguaglianza e pari opportunità che sono propri della
sinistra, dovrà avere il respiro lungo di chi sa offrire ai giovani una
prospettiva e una speranza nel futuro possibile, senza dimenticare l'urgenza
del presente. Per troppi anni abbiamo detto: "stiamo accumulando troppo
debito sulle spalle dei nostri figli e nipoti, verrà il giorno che ce ne
chiederanno conto". Il giorno è arrivato, oggi è il presente che chiama
disperatamente a risposte responsabili.
Sen. Marilena Adamo

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