I dati dell’ufficio studi di Confindustria offrono una fotografia
davvero preoccupante: un Pil in calo di oltre il 2% per quest’anno, e in calo
ancora per il 2013, un pareggio di bilancio che si allontana, una flessione
degli investimenti, dei consumi e del potere di acquisto delle famiglie, un
aumento costante della disoccupazione. Questo quadro, per quanto noto a chi
conosce la realtà vera del Paese, rende però indifferibile una verifica onesta
dei provvedimenti presi fino ad oggi dal governo e della loro efficacia, non
tanto ai fini di una ritrovata credibilità internazionale, che fortunatamente è
stata ristabilita, quanto dell’effettivo contrasto alla crisi. Da questo punto
di vista il vertice dei capi di governo ha una responsabilità storica. Una parte
dell’edificio europeo sta bruciando e il contagio sta crescendo, creando una
trappola che mette in ginocchio cittadini e imprese, minando le fondamenta
stesse della moneta unica e dei trattati.
Ogni Paese arriva a Bruxelles con le
proprie ragioni e i propri interessi ma la moneta unica esige un compromesso
comune, in assenza del quale la crisi da monetaria diventerà immediatamente una
crisi politica. Per l’Italia il passaggio assume le caratteristiche di un guado
decisivo, e non perché tocca agli altri affrontare o risolvere problemi che
sono nostri, ma perché non è giusto né accettabile che l’incertezza europea
renda ancora più pesante la strada del nostro risanamento. Un compromesso
basato su una delle tante soluzioni presentate ci può aiutare nelle scelte che
dovremo fare comunque; un risultato negativo renderebbe tutto più difficile ma
altrettanto necessario. Quello che difficilmente può essere accettato dai
nostri interessi è il protrarsi di una situazione di stallo e di incertezza,
nella quale non si delinei nessuna via di uscita dalla crisi. Altri possono
aspettare, come in fondo propongono le ultime considerazioni del cancelliere
tedesco: noi abbiamo il bisogno di non perdere altro tempo e trovare da subito
un bandolo per dipanare una matassa tanto complessa quanto pericolosa. Da
questo punto di vista, i dati di Confindustria hanno il merito di non abbellire
né di sfumare la durezza del momento, riportando al centro dell’attenzione
l’economia reale, con i problemi in carne e ossa di giovani, lavoratori e
imprese. E anche di distribuire critiche e osservazioni, per la prima volta
dopo tanti anni, sufficientemente oneste ed equilibrate. Per questo da lunedì,
chiuso il vertice con i risultati che vedremo, ci sarà in ogni caso la
necessità di provare a cambiare registro. Se il Paese non può restare in una
lunga agonia e in una troppo lunga transizione verso non si sa dove, e se i
provvedimenti presi fino ad oggi su tasse sulla casa, riforma previdenziale
(pesantissima e iniqua), stimoli all’economia (modesti fino all’eccesso), e
riforma del mercato del lavoro (assolutamente discutibile) non danno risultati
effettivi, allora bisognerà pensare di cambiare l’asse e le priorità degli
interventi. Laddove non arrivano i suggerimenti della Banca centrale, altre strade
fino ad oggi non prese in considerazione possono essere percorse. Da un lato
bisogna provare a ridurre e ristrutturare lo stock del debito, dall’altro
stimolare investimenti e domanda, anche trovando i modi per fare affluire la
liquidità necessaria a imprese e famiglie. Qualcuno, negli ultimi giorni, l’ha
chiamata la soluzione B; altri da tempo hanno avanzato proposte per
un’operazione dai caratteri straordinari. Lo stesso governo ultimamente ha
predisposto contenitori e società con finalità che si possono avvicinare, anche
se non ancora nelle quantità, allo stesso obiettivo. Si tratta ora di
scegliere, studiando bene le soluzioni anche dal punto di vista dell’equità
sociale, e di affrontare il nodo dal suo fondamento. Insieme, utilizzando una
parte di tali risorse, bisogna sostenere l’economia reale, dopo che per
responsabilità del centrodestra restiamo l’unico Paese in Europa che non ha
fatto, durante l’arco della crisi, alcuna manovra di stimolo anticlica. Non si
tratta di scelte facili, ma abbiamo una ragionevole possibilità di uscire dalla
spirale recessione-debito in altro modo? E ancora: possiamo continuare a
galleggiare, bruciando risorse e lavoro giorno dopo giorno? Stare fermi,
mettere tamponi dalla discutibile utilità, sommare tanti piccoli interventi
iniqui e anche occasionali, è forse una via migliore? L’unico vero problema può
essere rappresentato dalla fragilità dell’equilibrio politico, e dagli incerti
atteggiamenti di una parte dello schieramento che sostiene il governo. Ma anche
su questo aspetto vale in fondo la stessa considerazione: meglio misurarsi con
un progetto alto e con una scommessa di fondo che tirare a campare, finendo con
il logorare tutti, la parte buona e quella che ha le responsabilità più grandi,
chi ha a cuore il destino comune e chi lavora per propri e circoscritti
interessi.
Fonte: ideesocietacivile.it
– Guglielmo Epifani

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