Secondo quanto riportato da diversi
organi di informazione, il sottosegretario Gianfranco Polillo avrebbe
dichiarato che in Italia si lavora solo nove mesi all’anno (evidentemente
calcolando come “non lavorati” i giorni festivi, le domeniche, Natale, Capodanno,
etc.). In effetti è vero che abolendo tutte le festività potremmo ottenere un
incremento di produttività considerevole. Il sottosegretario, a questo
proposito, avrebbe anche detto che “se noi rinunciassimo ad una settimana di
vacanza avremmo un impatto sul Pil immediato di circa un punto”.
Ora, è evidente che – seppure questo
fosse vero – riguarderebbe solo alcuni lavoratori. Evidente, infatti, che
alcune categorie produttive non fornirebbero immediati vantaggi al Paese dalla
decurtazione delle loro ferie.
Ci sono poi altre piccole
considerazioni da fare. La prima – e più banale – riguarda il mercato turistico
e il suo indotto. In un Paese in cui, nonostante la crisi, il turismo
rappresenta ancora un comparto importante e le spese per “ricreazione e cultura”
sono le uniche in crescita (come riportava il recente rapporto di
Federculture), quali potrebbero essere i danni provocati da una diminuzione del
periodo di ferie degli italiani? Che impatto avrebbe sul PIL, il mancato
introito economico che colpirebbe migliaia di imprese turistiche, spesso a
conduzione familiare?
Seconda piccola considerazione.
L’idea che la produttività si misura con la presenza fisica e non con la
qualità del tempo lavorato, appartiene a una visione ottocentesca del lavoro.
Una visione che non tiene conto delle nuove modalità organizzative delle
società contemporane e dell’importanza economica di settori centrali
(innovazione, sviluppo tecnologico, ricerca, etc.). Si tratta di questioni ben
note ai sindacati, sia quelli che che il sottosegretario giudica “illuminati e
riformisti” sia quelli meno illuminati (comunisti?)
Non sarà forse questa mentalità – fra
l’altro – che alimenta il terribile ritardo nello sviluppo dell’agenda digitale
italiana?
In realtà, in Italia bisognerebbe
lavorare meglio, velocizzare le pratiche burocratiche (cosa che le imprese
chiedono da tempo), favorire l’innovazione e la ricerca.
Qualche anno fa (era un’altra
Italia), un impiegato di un ministero mi spiegò che la “tattica” da adottare
per non stancarsi e lavorare poco era quella di essere sempre presenti, girare
da una stanza all’altra sempre con un foglio in mano e farsi vedere impegnati e
“di corsa”, poco importa se per andare dal collega a parlare di calcio o al bar
interno a leggere il giornale. La presenza fisica a dispetto della qualità del
lavoro. Sono certo che se oggi quel vecchio impiegato fosse ancora in attività,
plauderebbe al sottosegretario. Come quelli che plaudono a tutte quelle misure
che sembrano “forti” e decise. Tanto non riguardano loro…
Nell’Europa che ha bisogno di
crescere su progetti reali e innovativi (a breve su questo le proposte del
Presidente Hollande) non si sentiva alcun bisogno di una nuova proposta
populistica.
fonte: michele sorice - blog

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