La pensione arriverà
più tardi ma sarà più ricca: il riordino del ministro Fornero produrrà una
sosta più prolungata di tre anni nel mondo del lavoro che consentirà assegni
previdenziali più vicini all’ultimo stipendio. Il certificato di idoneità della
riforma è arrivato anche dalla Ragioneria dello Stato: la manutenzione del
capitolo pensionistico inserito nel decreto salva-Italia riduce il peso della
spesa previdenziale rispetto al Pil, mantiene i livelli di adeguatezza degli
assegni, assicura la sua sostenibilità finanziaria.
Le
previsioni sul lungo periodo sono incentrate su un tasso di crescita medio
dell’1,5%, su un tasso di disoccupazione del 5,5%, su una presenza al lavoro
tra i 20 e i 69 anni del 74,3%: abbastanza ottimisti, diciamo, rispetto alle
cifre attuali di una congiuntura che fa stimare una crescita zero e una
disoccupazione molto più ingombrante (leggi qui il calcolo per ogni categoria fino al
2060). In prospettiva è lecito e non irragionevole attendersi
miglioramenti: se
le cosse dovessero andar male, con minori contributi complessivi e una crescita
zero prolungata, i calcoli andranno rifatti e il “cantiere pensioni” dovrà
essere riaperto. In generale, in media vi saranno pensioni adeguate, congrue e
dignitose, ma bisognerà lavorare a lungo e soprattutto in maniera continuativa.
Una brutta notizia per i precari di oggi: “quanti saranno i giovani che potranno
contare su 38-40 anni di contribuzione piena?” si chiede Salvatore Padula del
Sole 24 Ore rilevando l’incognita di prestazioni inadeguate per i giovani.
Il
prolungamento che ritarda di tre anni l’uscita dal lavoro e l’estensione a
tutti del calcolo contributivo (tanto versi tanto ricevi) sono i due capisaldi
della riforma. Quindi assegni più lontani nel tempo, ma più sostanziosi. Per i
dipendenti maschi il trattamento previdenziale di vecchiaia dovrebbe garantire
sempre tra il 70-75% dell’ultima retribuzione (si dice tasso di sostituzione) e
in prospettiva anche l’80-85% del tasso di sostituzione netto. Cioè la
differenza tra ultima busta paga e primo assegno previdenziale al netto degli
effetti fiscali e contributivi. Prima della riforma, le vecchie proiezioni
davano un quadro allarmante per i giovani investiti dal metodo contributivo che
con quel sistema pensionistico potevano aspettarsi un tasso di sostituzione non
superiore al 50%.
Situazione
analoga e pericolosa era registrabile per i lavoratori autonomi: le vecchie
regole avrebbero consentito loro un tasso di sostituzione del 30-40%, mentre
adesso l’assegno non scenderà mai sotto il 50-60% dell’ultima retribuzione.
Assegni più pesanti ci saranno per le categorie che hanno subito i
prolungamenti al lavoro più forti: come le donne dipendenti private. La musica
cambia, dicevamo, per tutti coloro impegnati in lavori discontinui, precari,
interinali, o per chi viene licenziato in anticipo: per loro sarebbe cruciale
una previdenza complementare, una “pensione di scorta”, suggerita anche dai
tecnici dell’Economia ma per la quale, semplicemente, non ci sono risorse.
fonte: blitzquitidiano.it

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