E' L'EPOCA del tempo sospeso. Dove è facile
scomparire, divenire invisibili. Uscire dal tempo. Finire nel nulla. Come i
"neet", acronimo inglese che richiama i giovani che "non"
lavorano e "non" studiano. Ma non sono neppure coinvolti in percorsi
di "formazione" e "apprendistato". I giovani né / né.
Scomparsi, per le statistiche. Loro, almeno sono giovani. E dispongono di un
acronimo inglese. Contrariamente agli "esodati". Che giovani non sono
più da molto tempo. Ma neppure abbastanza vecchi per "meritare" la
pensione. E vengono (in)definiti con un termine inesistente sui dizionari della
lingua italiana. Sono i lavoratori (meglio dire: ex) usciti dal mercato del
lavoro prima dei tempi previsti dalla legislazione e dai contratti. In cambio
di incentivi, si sono "dimessi", licenziati. In attesa di accedere
alla pensione. Un'attesa che la riforma varata del governo ha, improvvisamente,
allungato di anni, per molti di loro.
Quanti, è oggetto di discussione, anzi, di conflitto aspro. Fra il governo e la ministra Fornero, da un lato, e il sindacato, dall'altro. Ma anche i dirigenti dell'INPS. Secondo i quali non si tratta di qualche decina di migliaia di (ex) lavoratori, come vorrebbe il ministro Fornero. Ma centinaia di migliaia. Oltre 350 mila. Esodati.
Neologismo
singolare e ruvido, all'orecchio. In un primo tempo ho pensato a una
contrazione di "esondati". Da esondare. Straripare. Scavalcare gli
argini. E quindi: spinti fuori dal bacino - del lavoro e della pensione. Quanti, è oggetto di discussione, anzi, di conflitto aspro. Fra il governo e la ministra Fornero, da un lato, e il sindacato, dall'altro. Ma anche i dirigenti dell'INPS. Secondo i quali non si tratta di qualche decina di migliaia di (ex) lavoratori, come vorrebbe il ministro Fornero. Ma centinaia di migliaia. Oltre 350 mila. Esodati.
Ma non è così. Gli "esodati" sono i participi passati di un verbo che non esiste nei dizionari. (Vi entrerà certamente, nelle prossime edizioni.) Esodare: deriva da "esodo". Migrazione di un popolo in fuga dalla persecuzione. In questo caso, si tratta di coloro che sono stati "spinti" fuori dal lavoro verso la pensione. E sono rimasti lì, sospesi. In attesa di un approdo che si è allontanato all'improvviso e in modo imprevisto. Insomma, sono Esodati, come recita una formula di incerta genesi e responsabilità. Coniata, pare, nei primi anni Novanta. Nei meandri che collegano i ministeri, il sindacato, gli uffici pubblici. Un lemma del lessico burocratese. Gli esodati sono un popolo dai contorni in-definiti. Come chi ne fa parte. D'altronde, non si riesce a stimarli con certezza. Perché sono "esodati" in tempi diversi, da luoghi e contesti diversi. Insomma, sono sparsi, spersi e dispersi. Non dispongono di uno statuto né di una condizione comune. Per cui non hanno uno specchio nel quale riflettersi - tutti insieme. Un amplificatore attraverso cui far sentire le loro voci con una voce sola. Perché "non-sono". Sono dei Non. Dei Non-lavoratori. Dei Non-pensionati. Oppure dei né/né. Confinati nella Terra di Nessuno, dove nessuno ti vede, nessuno ti chiama. Visto che non hai un nome. Ma un non-nome.
Sei il participio passato di un verbo che non esiste. È questo che rende la condizione degli Esodati difficile e significativa. Il disagio dell'attesa senza fine. Del viaggio senza mèta. Come passeggeri di un treno finito in binario morto. E dimenticato lì. Come viandanti che si sono perduti, perché il paesaggio intorno a loro è improvvisamente cambiato. E le mappe, le bussole a cui si affidano sono sbagliate. Non li aiutano a orizzontarsi. Un po' come il nostro Paese. Anche noi: Esodati. O forse, meglio, Esodanti. Participio presente di un verbo che - per ora - non esiste. Coloro che affrontano un Esodo, senza una destinazione precisa.
fonte: repubblica.it - Ilvo Diamanti

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