Non si avverte
davvero bisogno di qualche nuovo partito cattolico (a
proposito: ma l'Udc lo è o no? E se sì, come si spiega la sua latitanza dalla
discussione che dura da circa un anno? Possibile che essa non si senta in
qualche modo chiamata in causa?). Tanto meno, dunque, sembra aver senso stare a
interrogarsi sul o sugli eventuali possibili leader del suddetto partito.
Ma se il sistema politico non ha bisogno di un partito cattolico, viceversa di
una voce cristiana, e dunque anche cattolica, di un'iniziativa politica alta
che rechi il segno di quell'ispirazione, l'Italia ha sicuramente bisogno. Oggi,
infatti, davanti alla Repubblica sta una difficile via modellata su un abito
nuovo di serietà e di sobrietà: una via fatta anche di rinunce a traguardi che
sembravano ormai acquisiti per sempre, di spirito di sacrificio.
Lo è già ora,
ma ancor più nei tempi che si annunciano sarà questo il vero patriottismo. E
sarebbe davvero singolare che l ' ethos cristiano - ma vorrei dire religioso in
genere - che a dispetto di ogni secolarizzazione permea ancora di sé vaste
masse di italiani, restasse estraneo proprio rispetto a questa sfida. Che alla
fine è una sfida innanzi tutto culturale e ideale.
Non si tratta di politica, ma di altro. Si tratta di contribuire alla
costruzione di una cultura civica, di rafforzare un insieme di valori pubblici,
di costruire disposizioni d'animo collettivo orientate al bene comune. Ma
insieme di ricercare le possibili vie d'uscita dalle strettoie in cui si trova
immobilizzata da anni la società italiana. Ricordo solo quelle che mi sembrano
le più gravi: un sistema d'istruzione dispersivo e programmaticamente
indulgente, vittima di ridicoli conati aziendalistici; un'università che non
conosce il merito e nella quale l'internazionalizzazione sta decretando la
brutale retrocessione di tutto il sapere d'impianto umanistico; lo sperpero
immane di risorse (con relativa corruzione dilagante) da parte di tutte le
strutture pubbliche: per cui tutto, in Italia, costa tre o quattro volte più
del dovuto, e per essere fatto ci mette tre o quattro volte il tempo realmente
necessario, e dove lavorano inutilmente migliaia di persone; infine
un'organizzazione della giustizia (dai codici alla deontologia dei magistrati,
allo scandalo permanente delle carceri) che troppo spesso è organizzazione di
vera ingiustizia. E come se già tutto questo non bastasse si tratta poi di
capire come ricostruire su nuove basi la cittadinanza sociale e il sistema
della rappresentanza parlamentare, rimettendo in riga le corporazioni e l'alta
burocrazia «gabinettista» ormai governante in proprio.
Certo, alla fine tutto è politica. Ma prima c'è un grande spazio -
vitalmente necessario, di mobilitazione, di ricerca, di analisi, di proposte -
che è fuori della politica. Ed è qui proprio che però il silenzio cattolico è
più alto. Non quello di singoli credenti, naturalmente, ma il silenzio di
quella che si chiama la presenza cattolica nel Paese, del cattolicesimo
organizzato (dalle Acli all'Azione Cattolica, ai tanti movimenti; e ci metterei
pure la Cisl e
l'Udc, sempre che essi accettino di avere qualche cosa a che fare con il
cattolicesimo organizzato e sempre che si prescinda dalla loro quotidiana
routine istituzionale).
È in questo ambito che si misura davvero in pieno l'irrilevanza dei cattolici
nella vita pubblica. Non è un'irrilevanza politico-partitica, è un'irrilevanza
prima di tutto d'opinione, di idee. Cioè assenza - sulle questioni che
richiamavo prima, e su mille altre riguardanti la svolta profonda di cui ha
bisogno il Paese - di approfondimenti significativi, di punti di vista forti,
di effettive volontà di mobilitazione. È come se ormai da anni il combinato
disposto della riduzione a ideologia di massa dei principi del Vaticano II da
un lato, e della fine traumatica della Democrazia cristiana dall'altro,
avessero spinto il cattolicesimo italiano non solo a disinteressarsi della
«grande» politica (che è poi la sola, vera politica) ma anche a disinteressarsi
dell'Italia. Dell'Italia come problema storico; come luogo di un passato che
forse merita un futuro; come patria di una comunità che s'interroga sul proprio
destino (se mai gliene aspetti uno...). La sola voce cattolica che oggi si fa
sentire nello spazio pubblico sembra essere quella che si concentra sul tema
(significativo, chi ne dubita?, ma certo non proprio generale) della «difesa
della vita». Per il resto l'impressione è che nel campo cattolico tutto tenda a
ridursi tra i fedeli a un certo astratto moralismo, e al vacuo, sempre
prevedibile, precettismo delle relazioncine somministrate mensilmente nelle
riunioni della Cei. La conclusione non può che essere una: con la fine della Dc
il cattolicesimo italiano sembra aver cessato di essere matrice di una
possibile cultura politica.
Quale mai novità dovrebbe o potrebbe dunque rappresentare in queste condizioni un partito di
cattolici? E perché un tal partito dovrebbe essere capace di dire al Paese
qualcosa di più e di diverso da quello che riescono - o meglio non riescono - a
dirgli i non pochi cattolici che si trovano nel Pdl, nell'Udc o nel Pd? Come
del resto - è fin troppo ovvio rilevarlo - non ci riesce neppure nessuna voce
«laica». E proprio in questo consiste il dramma dell'Italia: per tornare a
muoverci avremmo bisogno di respirare aria nuova, di ascoltare idee coraggiose,
di scorgere nuovi orizzonti. E invece tutto appare immobilizzato in qualcosa
che assomiglia sempre più al resto di niente. Mentre da lontano, ma già distintamente,
echeggia il grido barbarico delle turbe di Grillo.

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