Entro la fine di giugno
sapremo se il cardinale arcivescovo Angelo Scola,
che proviene da Cl, intende “ciellizzare”,
oppure no, la diocesi di Milano.
Il
29 giugno, santi Pietro e Paolo, debutterà infatti il nuovo “governo” della
diocesi, formato daiVicari episcopali e dai responsabili di curia. Scola sta
decidendo in questi giorni i nomi delModerator Curiae (che dirige gli organismi di curia e
coordina il “governo”) e dei Vicari episcopali di settore (i “ministri” della
diocesi). Ha già nominato invece il Vicario generale (il suo numero due) e i
Vicari episcopali di zona, cioè i responsabili delle sette aree in cui è divisa
la diocesi più grande del mondo. I loro nomi (da quello di monsignor Mario Delpini,
Vicario generale, a quello di monsignor Carlo Faccendini, nuovo responsabile
della zona 1, Milano città) dimostrano che Scola è stato ben attento a non
forzare le tradizioni della diocesi retta fino al giugno 2011 da Dionigi Tettamanzi e, prima di lui, da Carlo Maria Martini, figura che ha segnato profondamente i
preti e le comunità diocesane.
Ma
la prova del nove sulla volontà di non “ciellizzare” la Chiesa ambrosiana arriverà
ora, con le nomine dei “ministri”, i Vicari episcopali dei dieci settori in cui
è organizzata la curia: da quello “per gli affari generali” a quello “per gli
affari economici” (che hanno in mano l’organizzazione e i soldi), dal “settore
per la vita sociale” a quello “per la missione e la carità”, dal “settore per
la pastorale giovanile” a quello “per l’evangelizzazione e i sacramenti”.
Secondo indiscrezioni, Scola procederà a una riorganizzazione della curia e
forse all’accorpamento di alcuni settori. Ma chi saranno gli uomini chiave del
suo nuovo “governo”? Milano, per Comunione e
liberazione, è centrale: qui è nata ed è
diventata potentissima, qui ha sede la direzione del movimento, qui opera
il più visibile dei suoi uomini in politica, il presidente della
Regione Lombardia Roberto Formigoni, oggi al centro di discussioni
e polemiche anche dentro la chiesa ambrosiana, a causa del suo stile di vita e
delle tante inchieste giudiziarie che ruotano attorno ai suoi uomini, amici,
dirigenti.
Proprio
a Milano, Cl non è mai riuscita ad avere peso dentro la curia e dentro le
strutture della diocesi. La tradizione ecclesiale
ambrosiana ha
sempre visto con un certo sospetto la crescita di Cl, considerata non priva di
elementi di settarismo e divisione nei confronti delle parrocchie, di
integralismo dogmatico, di affarismo un po’ troppo spregiudicato in politica.
L’arrivo di Scola, che appartiene da sempre al movimento di don Giussani, è
stata la rottura di una tradizione culturale, teologica, ecclesiale e pastorale
ben diversa da quella di Cl e impermeabile ai suoi temi e al suo linguaggio.
Per riuscire a diventare prete, Scola nel 1970 ha dovuto abbandonare
il seminario ambrosiano (di fatto, una espulsione consensuale), trovando a
Teramo un vescovo vicino a Cl che lo ha ordinato sacerdote.
Ora
è tornato da arcivescovo nella diocesi che non lo aveva voluto fare
prete. Ci è arrivato anche sospinto da una lettera mandata in Vaticano dal
capo di Cl, Julián Carrón: una “raccomandazione” che conteneva giudizi duri sul
predecessore, Tettamanzi,
accusato, pur senza farne il nome, di “intimismo e moralismo”, di aver
sostenuto il centrosinistra e Pisapia,
di aver bollato “come affarismo le opere educative, sociali e caritatevoli dei
movimenti” (cioè di Cl). Quando la lettera è diventata pubblica, Scola è stato
chiamato dai suoi preti a spiegare quei giudizi e ha risposto rivendicando la
sua autonomia dal movimento da cui proviene e promettendo di garantire la
continuità con le tradizioni ambrosiane. Le nomine già fatte mantengono la
promessa, ma ora i suoi preti e i suoi fedeli lo attendono alla prova delle
nomine dei “ministri” di curia.
Fonte:
ilfattoquotidiano.it – Gianni Barbacetto

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