Un esame prenatale
del sangue in grado di
diagnosticare la sindrome di Down tra
la 12esima e la 14esima settimana di gravidanza. E’ una rivoluzione nella diagnostica prenatale che ora
sarà messa in commercio in Svizzera e
in Germania. Meno invasivo
e più precoce di una amniocentesi questo
nuovo esame si chiama PrenaTest, ed è stato messo a punto dall’azienda tedesca
LifeCodexx. Secondo quanto riportato dal quotidiano svizzero ‘Neue Zuercher
Zeitung am Sonntag’, ha ricevuto l’approvazione della Swissmedic, l’agenzia
elvetica per gli agenti terapeutici pochi giorni fa. Il PrenaTest – che sarà in
commercio, a partire da agosto, anche in Austria e Liechtenstein –
consiste in un prelievo di 20 millilitri di sangue materno, che contiene una
frazione di materiale genetico del feto dovuta al ricambio cellulare della
placenta. Il Dna viene
sequenziato e amplificato fino a permettere il calcolo del numero di cromosomi.
La sindrome di Down, chiamata anche Trisomia 21 si caratterizza proprio per un
numero diverso di cromosomi.
L’esame avrebbe, secondo gli ideatori, una
capacità predittiva del 99,8 per cento, una percentuale superiore a quella di
altri test del sangue già disponibili e paragonabile a quella
dell’amniocentesi, il prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina che –
anche se i casi, con gli anni, si sono ridotti drasticamente – può portare ad
aborto spontaneo. Questo è il motivo per cui l’amniocentesi viene condotta su
un numero limitato di donne, solo su quelle cioè considerate a maggior rischio.
Una differenza questa che la casa produttrice del test non ha esitato a
sottolineare “Un’alternativa senza rischi a metodi più invasivi”.
Proprio questa eccessiva precocità e accessibilità del nuovo prodotto
diagnostico sembra pero’ suscitare diverse perplessità. A giugno un giudice
tedesco lo aveva definito ‘una retata contro i bambini down’. Questo appena
autorizzato non è pero’ l’unico test alternativo all’amniocentesi. A
contendersi il mercato un mese fa quello messo a punto dalla Stanford University: la Digital Analysis
of Selected Regions (DANSR), che esamina piccoli frammenti di Dna che circolano
nel sangue materno, non prendendo in considerazione l’intero genoma ma soltanto
i cromosomi coinvolti nello sviluppo delle sindromi di Down e di Edwards. Uno scenario, questo dei test prenatali che spaventa
molto per gli impliciti rischi di una potenziale deriva eugenetica. Il mese
scorso i famigliari dei malati, riuniti in una federazione internazionale che
raggruppa 30 associazioni da 16 diversi paesi, hanno chiesto alla Corte Europea
dei Diritti dell’uomo di pronunciarsi contro tutte quelle analisi che
potrebbero provocare un significativo aumento degli aborti. “La questione è che
gli aborti in seguito alle diagnosi sono accettati senza nessun approfondimento
– ha spiegato a giugno Jean-Marie
Le Mené, uno dei sottoscrittori della petizione presentata alla Corte
europea e lanciata sul sito www.stopeugenetics.com – bisogna combattere il
pregiudizio secondo cui una persona con la sindrome di Down è una calamità”.
“La questione, a mio avviso, è posta in modo
errato – spiega Demetrio Neri,
Ordinario di Bioetica all’Università di Messina e componente del Comitato
Nazionale per la Bioetica
-: naturalmente parlo a titolo personale, ma non vedo alcun beneficio, per chi
è oggi affetto dalla sindrome di Down, nell’ostacolare un test che potrebbe
prevenire futuri casi. Quello che condivido di queste battaglie, piuttosto, è
la necessaria volontà di combattere la discriminazione e auspicare sostegno
sociale, scientifico e finanziario. La resistenza preventiva, però, è
malfondata”. “Se c’è una possibilità didiagnosi che
aumenta la possibilità di scelta entro i termini consentiti dalla legge –
commenta Maurizio Mori, professore di Bioetica all’Università di Torino – non
vedo quali possano essere le obiezioni: non ci sono conoscenze proibite o
cattive, l’unica cosa cattiva è l’ignoranza. La conoscenza aumenta la capacità
di scelta: il problema, più che altro, è indirizzarla in modo opportuno”.
Fonte: ilfattoquotidiano.it

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