Diciamo la verità: fosse stato Silvio Berlusconi a dire
ciò che al Meeting di Rimini hanno
detto sulla crisi il premier Monti e il
ministro Passera si
sarebbe scatenato un putiferio e gridato allo scandalo, chiedendo lo scalpo del
Cav.
Papale papale Il presidente del
Consiglio domenica al meeting di comunione e liberazione ha detto: “Per certi
versi vedo avvicinarsi l’uscita dalla crisi. L’anno scorso era peggio”. Parole
poi confermate dal ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera: “La vedo
l’uscita dalla crisi, dipenderà molto da quello che riusciremo a fare”.
Euforismo ferragostiano da ombrellone o ottimismo realistico basato su dati
concreti?
Il quadro resta pessimo. Secondo l’Eurostat lavora soltanto un italiano su tre: su 60,8 milioni di persone solo 22,3 sono regolarmente impiegate.
Entro l’anno prossimo la disoccupazione arriverà quasi
a quota 10%, mentre quella giovanile è sul 30%. Da mesi e mesi il pil italiano
è in zona recessione. E non basta: a giugno il debito pubblico ha sfiorato la
soglia psicologica di 2 mila miliardi di euro (1.972,9 secondo i dati della
Banca d’Italia).Il quadro resta pessimo. Secondo l’Eurostat lavora soltanto un italiano su tre: su 60,8 milioni di persone solo 22,3 sono regolarmente impiegate.
Intanto i contribuenti mettono mano ai
portafogli e pagano il conto allo Stato: una pioggia di tasse, imposte e
balzelli. Dall’Imu ai rincari sulle bollette, dalle accise sulla benzina alle
addizionali (regionali e comunali) sull’Irpef. Così i consumi sono ai livelli
del Dopoguerra.
Ecco perché le parole di Monti e di
Passera hanno ricevuto il gelo dalla Confindustria e la secca replica della Cgil: “Non c’è nessuna uscita dal
tunnel, al contrario ci sarà un autunno particolarmente difficile”.
Da quale dinamica economica Monti e
Passera hanno tratto le loro conclusioni ottimistiche? Molte fabbriche non
riapriranno i battenti a fine mese, centinaia sono le vertenze aperte ovunque,
con nodi difficilmente risolvibili. Dentro la tenaglia della crisi
internazionale l’Italia patisce di più perché manca una vera politica
industriale. Agli slogan e alle promesse non seguono mai i fatti, la svolta, la
riconversione produttiva, e molti imprenditori, fra l’incudine e il martello
della crisi e della latitanza del governo, scelgono la via della chiusura o
della fuga all’estero.
Dall’esecutivo, il solito refrain: “Non
ci sono risorse per vere riforme di struttura”. Perché allora non si agisce
sulla leva fiscale tassando
seriamente rendite e patrimoni?
Da Palazzo Chigi si risponde che questa è una scelta politica, impossibile da realizzare da parte di un governo
tecnico retto da una singolare maggioranza parlamentare (Pdl, Pd, Udc). Evidentemente è stato
più facile agire pesantemente sulle fasce sociali più deboli e da sempre
tartassate: i pensionati, i lavoratori a reddito fisso, gli artigiani e i
piccoli imprenditori. Solo la politica può imporre la svolta. Ma la politica
dov’è?
Fonte: polisblog.it

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