Cinque
anni dopo, quel rosa intrepido si è scolorito sotto strati di negligenza e
colpi di ristrutturazioni fino a diventare tanto pallido da non contare più.
Era rosa il bollino che, nel 2007, rispondendo a una richiesta europea,
premiava, certificandola, l’eccellenza delle aziende
italiane, pubbliche e private, nelle politiche di genere.
C’era stata una piccola virtuosa corsa, in quei giorni, a farsi certficare
dal ministero delle Pari Opportunità di Barbara Pollastrini. In 150 imprese,
grandi e medie, quotate e non, private e pubbliche, si erano sottoposte al test. Ci avevamo quasi creduto.
Le aziende per partecipare alla
selezione dovevano compilare un formulario che un po’ le
inchiodava e
forse aveva ottenuto il risultato di far riflettere i Flinstones alle risorse
umane su espressioni come “catena di valore delle pari opportunità”.
Al punto 2.7 dell’allegato partiva il fuoco di fila delle domande chiave: “Vogliate
cortesemente descrivere le eventuali misure messe a punto ed utilizzate
dall’azienda in riferimento a
-Parità retributiva e
superamento dei differenziali di genere
-Processi di stabilizzazione e politiche
assunzionali -Qualificazione e progressione di carriera –
Conciliazione
Cinque anni dopo, sarebbe interessante
sapere se e con quali parole le imprese italiane riempirebbero
queste caselle e poi quale sarebbe la valutazione la Commissione ministeriale.
Cinque anni dopo, una delle aziende
pubbliche che aveva passato la certificazione, le Poste Italiane guidate ormai
due lustri dal 64enne Massimo Sarmi, ha pensato bene di togliere il bonus presenza alle donne in
maternità obbligatoria.
Cinque anni dopo, all’ escalation delle
dimissioni in bianco è stata messa una pezza dalla ministra Elsa Fornero, ma
alle Pari Opportunità, così come negli uffici, conciliazione, maternità e
paternità, restano parole vagamente fastidiose, di sicuro faticose. Pare che
tra le giovanissime sia addirittura diffusa da l’usanza di dichiararsi
lesbiche, o di lasciarlo intendere, ai colloqui di lavoro. Meglio subire la
curiosità e il sorrisetto del Cassano di turno che vedersi rifiutare un impiego.
fonte: 27esimaora.corriere.it
C’era stata una piccola virtuosa corsa, in quei giorni, a farsi certficare
dal ministero delle Pari Opportunità di Barbara Pollastrini. In 150 imprese,
grandi e medie, quotate e non, private e pubbliche, si erano sottoposte al test. Ci avevamo quasi creduto.
Le aziende per partecipare alla
selezione dovevano compilare un formulario che un po’ le
inchiodava e
forse aveva ottenuto il risultato di far riflettere i Flinstones alle risorse
umane su espressioni come “catena di valore delle pari opportunità”.
Al punto 2.7 dell’allegato partiva il fuoco di fila delle domande chiave: “Vogliate cortesemente descrivere le eventuali misure messe a punto ed utilizzate dall’azienda in riferimento a
Al punto 2.7 dell’allegato partiva il fuoco di fila delle domande chiave: “Vogliate cortesemente descrivere le eventuali misure messe a punto ed utilizzate dall’azienda in riferimento a
-Parità retributiva e
superamento dei differenziali di genere
-Processi di stabilizzazione e politiche
assunzionali -Qualificazione e progressione di carriera –
Conciliazione
Cinque anni dopo, sarebbe interessante
sapere se e con quali parole le imprese italiane riempirebbero
queste caselle e poi quale sarebbe la valutazione la Commissione ministeriale.
Cinque anni dopo, una delle aziende
pubbliche che aveva passato la certificazione, le Poste Italiane guidate ormai
due lustri dal 64enne Massimo Sarmi, ha pensato bene di togliere il bonus presenza alle donne in
maternità obbligatoria.
Cinque anni dopo, all’ escalation delle
dimissioni in bianco è stata messa una pezza dalla ministra Elsa Fornero, ma
alle Pari Opportunità, così come negli uffici, conciliazione, maternità e
paternità, restano parole vagamente fastidiose, di sicuro faticose. Pare che
tra le giovanissime sia addirittura diffusa da l’usanza di dichiararsi
lesbiche, o di lasciarlo intendere, ai colloqui di lavoro. Meglio subire la
curiosità e il sorrisetto del Cassano di turno che vedersi rifiutare un impiego.
fonte: 27esimaora.corriere.it

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