Cinque anni fa, il 23 agosto 2007,
moriva Bruno Trentin, esponente
“scomodo” del Pci e della
sinistra, dirigente di grande rilievo della Cgil (fu segretario generale dal 1988 al 1994) e prima ancora
gran capo della Fiom. Oggi
la segreteria della Cgil lo ricorda con una nota scrivendo che: “Il tempo ha
dato ragione alle sue battaglie” ripercorrendo l’impegno forte di Trentin,
dalla Fiom alla guida della Confederazione, all’insegna di autonomia e unità
sindacale, gli accordi decisivi degli anni ‘90 e l’impegno nel parlamento
europeo.
Non c’è dubbio che Trentin, appassionato
e colto, fu esempio di dirittura morale e civile, ben oltre i confini pur
importanti del movimento sindacale e della sinistra. Sul piano politico non fu
esente da grossi limiti, “ostacolando” la linea riformista di Luciano Lama, e, insieme a Sergio Garavini, cercando di
rappresentare nella segreteria della Cgil la linea del Pci.
Trentin traduceva nel sindacato la linea
di “sinistra” tracciata da Pietro
Ingrao nel Pci, sfociata in quell’operaismo che divise lo stesso partito comunista e alla fine
isolò e divise anche il sindacato.
Esempio significativo fu nel 1979 il
licenziamento alla Fiat di
61 operai, accusati di violenza e terrorismo e il successivo fallimento dello
sciopero di protesta proclamato dai sindacati. Fu l’occasione per analizzare il
ruolo e la linea del sindacato (Cgil in primis) e del Pci dentro una dura crisi
economica e sotto i colpi del terrorismo. Nel Pci, Giorgio Amendola, in un articolo su Rinascita il 9 novembre e
pochi giorni dopo in un rovente CC del partito a Botteghe Oscure, attaccò
duramente il sindacato e anche il partito: le nuove forme organizzative del
sindacato in fabbrica, la mancanza in esse di democrazia, la crescita
incontrollata delle rivendicazioni su un piano di esasperato egualitarismo,
l’ambiguità davanti a evidenti manifestazioni di demagogia settaria e
all’assenteismo, la difesa rigida di ogni azienda, anche della più dissestata,
l’accettazione della politica degli incentivi pubblici, le reticenze sulle reali
proporzioni della disoccupazione, la latitanza del partito nelle fabbriche.
Fu quella l’occasione in cui Amendola
criticò anche Norberto Bobbio perché
in posizione “neutrale” sul terrorismo: “Né con le BR né con lo Stato”. E quando Lama e Berlinguer,
spinti da Ingrao e Trentin, cercarono di smorzare la critica di Amendola,
questi contrattaccò: “Non si può addebitare alla condotta degli avversari
politici e dei padroni i nostri errori”.
Le cose, si sa andarono come andarono,
con la marcia dei 40 mila alla Fiat, la batosta della Cgil, la ricacciata del
Pci nel settarismo e nel ghetto dell’opposizione. Ma fu lotta politica vera,
fra giganti. E Trentin, fu uno dei grandi protagonisti.
I nodi posti allora da Amendola sono gli
stessi di oggi. Riguardano il sindacato ma il Pd, la sinistra e l’intera area
riformista italiana. Chi ci mette le mani?
Fonte: polisblog.it

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